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La locandina dell'evento |
"L'universo è luogo di eterna
trasformazione, dove omnia mutantur, nihil interit, cioè nulla perisce ma tutto
si muta, come scrive Ovidio nel XV libro de Le Metamorfosi.
Tutto è soggetto a mutazione e
cambiamento, in un ciclo incessante e inarrestabile. Non è solo la materia a
corrompersi e a subire trasformazioni, ma siamo noi stessi a essere coinvolti
in prima persona: la nostra pelle e il nostro corpo, giorno dopo giorno, recano
i segni del trascorrere del tempo e dell'evoluzione della vita.
Come l'avvicendarsi delle
stagioni altera la materia, fisica e chimica illustrano altre infinite modalità
in cui ciò accade: semplici variazioni di temperatura e pressione provocano
transizioni di fase, in cui non è la sua natura a cambiare ma semplicemente la
forma.
Continue alternanze di processi
fisici reversibili, rarefattivi o condensativi, avvengono ogni momento attorno
a noi: evaporazione, sublimazione, liquefazione o solidificazione sono solo
alcuni esempi di tali trasformazioni.
Se invece sono reazioni chimiche a
coinvolgere molecole e particelle, è qualcosa di completamente nuovo e
inaspettato ad essere generato.
Nulla si crea, nulla si
distrugge, tutto si trasforma recita il postulato settecentesco di Lavoisier,
primo principio di conservazione dell'energia, che sancisce come unica certezza
a noi concessa il cambiamento continuo. L'ineluttabilità della trasformazione
irreversibile di ogni cosa nell'universo, nonchè dell'universo stesso, trova
scientificamente espressione nel principio fisico dell'entropia, grandezza che
esprime il grado di "disordine" di un sistema, disordine inteso come
numero di cambiamenti avvenuti.
Ma il termine trasmutazione, al
di là dell'ambito oggettivo e scientifico in cui indica il processo di
trasformazione, deriva dall'arte alchemica, che anticamente indicava con esso
la leggendaria conversione dal metallo vile - come il piombo - in oro,
considerata materia nobile per eccellenza. Ma in alchimia, la trasmutazione
come maturazione dalla condizione "vile" a quella "nobile"
non doveva esser limitata solo alla materia ma estesa all'umanità, nell'intento
rigenerativo di liberare l'uomo da impurità e corruttibilità, raggiungendo così
uno stato di perfezione.
Ed è proprio al cambiamento in
questa chiave di lettura a cui l'uomo contemporaneo dovrebbe guardare, al di là
dei vari processi fisici e chimici di cui, essendo costituito di materia, è
costantemente in balia.
Ciò a cui ognuno di noi, con
coscienza e determinazione, dovrebbe tendere, in quanto essere pensante e
dotato di anima, è un'evoluzione spirituale, attraverso un percorso che possa
condurre alla saggezza come a un maggior livello di consapevolezza.
La mostra di sculture di questi
otto giovani artisti torinesi, tratta, nelle modalità più differenti, le
"Trasmutazioni della materia", suggerendo
però che sono altri - di natura etica, sociale o personale e interiore - ì tipi
di cambiamento da perseguire e a cui
ambire. Mutazioni e metamorfosi della materia si snodano in sequenza, nei modi
più vari, spingendo lo sguardo, e non solo, a oltrepassare il dato tangibile:
mai fermarsi all'apparenza poichè sono sempre sottili e implicite allusioni a
trasformazioni di diverso ordine a esser contenute in ogní opera.
Un arto divelto da una statua,
dove il gesso appare dilaniato alla stregua di carni straziate, rivela al suo
interno ossa, fasce muscolari e ramificazioni di vasi sanguigni recisi.
Decontestualizzato e privo di qualsiasi riferimento, a prima vista -
ingannevolmente - pare il tentativo di render in qualche modo umano, più vivo e
reale, l'ideale estetico tramandato dalla classicità, ma in realtà è un
clejà-vu, che necessita solamente di essere individuato. NICCOLO' BORGESE cita
infatti la pittura antica, la Creazione di Adamo di Michelangelo,
rielaborandola in chiave contemporanea: il braccio di Dio da affresco diventa
scultura, e da materia inerte si fa carne rappresentando con sintesi estrema la
scintilla vitale che tramuta l'uomo, plasmato con la polvere del suolo, in
essere vivente, così come viene narrato nella Genesi.
Se in Borgese la scultura diventa
corpo, nelle opere di SIMONE BENEDETTO accade l'opposto, e le figure umane
paiono qui essere state pietrificate da un imprevisto sguardo meduseo.
Ma la sua scultura muove dal
figurativo, da una visione concreta, per comunicare in realtà qualcos'altro, di
più smaterializzato: è alla consistenza della materia che viene affidato il
compito di restituire visivamente lo scollamento, proprio della
contemporaneità, tra reale e virtuale.
Le minacce invisibili di un
presente ipertecnologizzato prendono corpo, trasformate in metafore visive,
nell'intento di fornire exempla tangibili di ciò che accade ogni giorno, in
relazione al web e alla sovraesposizione mediatica.
E così il cellulare - ormai oggetto-feticcio
della nostra epoca, responsabile di aver reso il web prét-à-porter - nella
serie Coltan Escape si trasforma in un buco nero, un mefistofelico aggeggio che
divora, in modo inquietante e sempre maggiore, il nostro tempo e la nostra
attenzione, e di conseguenza la nostra libertà di azione e di pensiero.
Come un ansiolitico multimediale
riduce apparentemente la solitudine, mantenendo continuamente presente anche
ciò che è assente: il risultato è quello di relegare sempre di più su un piano
virtuale i rapporti interpersonali, rendendo superflua l'interazione fisica e
reale tra individui, come mostra Together Alone.
E ancora sono persone prigioniere
in teche trasparenti, esseri umani stoccati in casse accatastate come in un
deposito, ciò che mostra a un primo sguardo Identity for Sale, anche se l'opera
rappresenta in realtà l'ininterrotto traffico di informazioni che, in modo
sotterraneo e impercettibile, attraversa il web.
Pochissimi sono coscienti del
fatto che, in qualsiasi tipo di interazione on-line, vengono infatti
subdolamente intercettati e catturati flussi ingenti, ininterrotti, di dati,
vitali per qualsiasi ricerca di mercato. Sono le nostre identità ad essere
trattate - e dunque raffigurate - alla stregua di merce di scambio: i nostri
gusti, le nostre preferenze, i nostri ricordi, í nostri dati personali, cioè
tutte informazioni riguardanti la nostra vita privata, che ogni giorno con
leggerezza e inconsapevolmente riversiamo in rete.
Se Simone Bendetto trasforma in
reale il virtuale, NAZARENO BIONDO rende eterno ciò che rappresenta l'effimero
per antonomasia, ovvero scarti e rifiuti, che "riscatta" come monito
per "l'eredità" che stiamo lasciando alle generazioni future. È una
riflessione sulle conseguenze del consumismo sfrenato, sulla salvaguardia
dell'ecosistema, senza dubbio questione oggi di primo piano, e su ciò che un
domani costituirà testimonianza della civiltà della nostra epoca. Le sue opere
sono dei veri e propri monumenti al rifiuto: rimasugli e detriti perfettamente
riprodotti in marmo, spesso utilizzando il fuori scala, ironizzano - con molta
serietà - sul concetto di durata pressochè eterna di certi materiali
diversamente biodegrabili. Pacchetti extralarge di sigarette o di chewing-gum,
bottiglie di plastica, contenitori di latte o succhi di frutta accartocciati,
ovvero comunissimi oggetti che nel quotidiano non facciamo altro che gettare
nella spazzatura: un gesto ripetuto infinite volte, che certamente è difficile
elaborare come risultato complessivo, volendo fare un'ipotetica sommatoria. li
rifiuto sí trasforma qui in opera d'arte addirittura in monumento, nel
tentativo di essere perenne memoria di ciò che la società contemporanea ogni
giorno produce in quantità inimmaginabile e con conseguenze future
potenzialmente devastanti.
Dopo le vestigia dell'oggetto di
consumo, rese imperiture da Nazareno Biondo, le opere di DANIELE MIOLA per
soggetto raffigurato, per fattura e per il loro stato di conservazione, che
risulta apparentemente precario, paiono quasi dei reperti archeologici. Le sue
sculture evocano con le loro forme le antiche statuette delle veneri votive, in
cui erano rappresentati, in modo accentuato ed esasperato, gli attributi fisici
femminili, sinonimo di fertilità. Una delle trasformazioni per eccellenza è
proprio il corpo della donna durante la gravidanza: il corpo muta per generare
un'altra vita, per procreare, ma non è tanto questo il cambiamento a cui punta
la ricerca dell'artista. Da inno e celebrazione della fertilità, alla
continuazione della vita, le sculture di Miola in realtà trasmettono un altro
messaggio, più profondo. A una più attenta disamina le morbide forme, simbolo
di maternità, cioè seno e ventre, risultano infatti offese nella loro materia
costituente da abrasioni, asportazioni e mutilazioni.
Se nell'antichità esse erano
venerate come modelli di bellezza, tanto da assurgere a parametro estetico,
oggi le logiche sono ribaltate e non solo risulta anacronistica questo tipo di
raffigurazione, ma a maggior ragione è tale nella misura in cui sono stati
completamente stravolti i canoni a cui esse si riferiscono. A essere chiamato
in causa è il cambiamento del paradigma di bellezza contemporaneo, diventato
aJtoreferenziale e artjiciale, che impone ormai quasi come fatto normale e
consueto l'essere perennemente a dieta, come il ricorso alla chirurgia
estetica, tramite cui, spesso con leggerezza e superficialità, parti del corpo
vengono drasticamente modificate o esasperate.
Una critica verso i
contraddittori valori della società odierna è riscontrabile anche nella ricerca
di RENATO SABAT1NO, le cui opere sono vere e proprie trasmutazioni formali e
spaziali di oggetti di artigianato locale. Il vasellame in terracotta utilizzato,
tornito personalmente dall'artista, perde le sue funzioni e connotazioni
originarie, venendo riorganizzato e rielaborato in infinite combinazioni
diverse, diventando così un corpo unico e acquisendo un'altra identità.
Morfogenesi contrarie danno luogo
a Espansioni o Compressioni, di natura solo apparentemente differente perchè
entrambe indossano identiche vesti di archetipi formali, di unità spaziali e
volumetriche finite come il cubo, la sfera o il cilindro. Le espansioni,
organismi biomorfi ed estro' versi, protesi con loro aculei verso l'esterno,
alla conquista dello spazio circostante, emanano energia.
All'opposto le compressioni,
volumi implosi e costretti da confini invisibili, agglomerati sofferenti,
ripiegati su loro stessi, si compongono di una sommatoria di buchi neri che
piuttosto che emanare energia, la assorbono. Discendente di artigiani vasai,
dalla necessità di conservare le proprie radici, Renato Sabatino si riappropria
in modo originale delle tradizioni familiari, rendendole insospettabilmente
attuali, usando una tecnica antica che arriva a parlare un linguaggio
contemporaneo.
Opere d'arte in cui i materiali e
i rituali di esecuzione racchiudono la necessità di recuperare la nostra
storia, come il bisogno di lentezza e concentrazione: una sottile critica al
consumismo e all'esasperata tecnologizzazione, una personale reazione ai disagi
e alle problematiche proprie di una contemporaneità in cui tutto scorre
velocissimo e dove la progressiva perdita della memoria delle nostre tradizioni
è ormai una certezza.
In un solco analogo si situa la
ricerca di DANIELE ACCOSSATO, in cui però la citazione classicheggiante si
alimenta di spirito irriverente, gioco e ironia, elementi costanti delle sue
installazioni.
È un cambio di prospettiva, una
mutazione di contesto e di punti di riferimento a coinvolgere i soggetti delle
sue opere: sono sculture di ispirazione classica ad esser rimosse a forza dai
loro piedistalli, letteralmente rapite e costrette in cassepronte al trasporto,
con un'espressione terrorizzata che oscilla tra il caricaturale e il tragicomico,
in palese contraddizione con la loro proverbiale compostezza e ieraticità.
Entrambe sono mise en scène
dissacranti, ma nello stesso tempo riverenti, nei confronti della storia
dell'arte: se da un lato si sottolinea l'importanza del passato, in qualità di
sapere, bagaglio culturale e perizia tecnica da non perdere, dall'altro sono
introdotti degli elementi del presente, perchè oggi l'arte ha il dovere di
parlare di problematiche attuali, delle nostre sofferenze o inquietudini.
Amore rapito, citando la scultura
classica Amore e Psiche del Canova, raffigura un angioletto legato e
imbavagliato in una cassa da trasporto. L'opera denuncia e simboleggia la
progressiva scomparsa dell'ideale dell'amore eterno, diventando così metafora
dell'affettività anti-romantica contemporanea.
Chiamando invece in causa la più
contemporanea Venere degli stracci di Michelangelo Pistoletto, l'opera Venere
Kidnapped, racconta ancora, anche se in altri termini, della trasformazione
dell'ideale di bellezza classico, tramontato e negato non solo da un punto di
vista estetico ma anche da quello artistico. Nella contemporaneità prevalgono
infatti le idee e i concetti, e un'opera d'arte può non solo non essere bella
da vedere, ma anche essere realizzata da terze persone.
Ma angosce, turbamenti o pericoli
non risparmiano neppure il mondo dell'infanzia: in Indole sono innocui
giocattoli a trasformarsi in nugoli minacciosi di piccole e inquietanti
presenze, dando così corpo alle ansie e alle emozioni negative che ci
accompagnano sin dalla più tenera età.
Ma passando da una trasmutazione
all'altra non è stata ancora citata la più semplice e immediata, riproducibile
in un qualsiasi momento e con una facilità disarmante, cioè quella causata dal
processo di combustione.
Basta una banale fiammella per
mutare pressochè qualsiasi oggetto o materiale nella sua riduzione ai minimi
termini, ovvero in cenere.
La molteplicità dei significati
simbolici che può assumere il fuoco può essere ricondotta a due aspetti
fondamentali: il fuoco può essere infatti inteso sia come elemento di
distruzione e giudizio, che come metafora di rinnovamento dell'uomo.
Post fata resurgo - dopo la morte
torno ad alzarmi - recitava il motto dell'Araba Fenice, uccello mitologico noto
per il fatto di risorgere dalle proprie ceneri. Il passaggio dalla morte alla
resurrezione portò questa leggendaria creatura a diventare l'emblema della
rinascita spirituale, nonchè del compimento della "Trasmutazione
Alchemica", per gli alchimisti il processo misterico equivalente alla
rigenerazione umana.
Verte proprio sulla combustione
tutta la ricerca di VALERIA VACCARO. Ogni sua opera è come se fosse
un'istantanea di quel processo, in cui l'attimo viene colto e reso perenne nel
suo divenire.
Un istante fugace che viene
eternato attraverso il materiale nobile per eccellenza se parliamo di scultura,
cioè il marmo.
A bruciare e carbonizzarsi sotto
i nostri occhi a ben vedere sono oggetti elementari, tanto semplici quanto
necessari, come fiammiferi o pallet da trasporto. L'azione del fuoco diventa
qui simbolo di rigenerazione, cioè dell'intervento dell'artista, trasformando e
nobilitando legno di seconda scelta in marmo prezioso e oggetti all'apparenza
mediocri, prodotti di serie B di un'industrializzazione progressiva, in opere
d'arte sapientemente eseguite.
Oggetto e materia hanno sinora
subito ogni genere di trasformazione, seppur facendosi carico di altri messaggi
e significati, ma in ultima battuta la mutazione presa in esame da KIRIL
HADZHIEV diventa di ordine filosofico.
In accordo con il pensiero di
molti filosofi contemporanei (tra cui Judith Butler, Jacques Derrida) per
Hadzhiev è il linguaggio a creare e condizionare la realtà, la sua percezione e
le nostre idee. È uno strumento che se da un lato tenta di descrivere il mondo,
dall'altro crea inevitabilmente un filtro, aggiungendo un grado di complessità
che in realtà non sussiste.
È come se fosse la parola, e per
estensione il linguaggio stesso, ad avere più peso nel definire l'oggetto
piuttosto che non la sua "vera" natura: non esiste dunque veramente
un'essenza delle cose (uomo incluso), ma siamo noi a fornire di senso tutto ciò
che ci circonda.
Invisible or Inexistent chiama
direttamente in causa il concetto filosofico di cosa-in-sé, di essenza così
come viene definita da Aristotele nella Metafisica: «Ciò per cui una certa cosa
è quello che è, e non un'altra cosa».
Una vecchia stadera sospesa, nel
ruolo di archetipo di una bilancia primordiale, sfidando il buon senso comune
segna quindi il peso di un invisibile - o inesistente? - grave, mentre su; suo
piatto non giace altro che una scritta: the thing-in-itself (la cosa-in-sé).
A riprova di ciò anche un oggetto
semplice e immediato come uria bottiglia di :atte, scomposto nelle sue parti
secondo una grammatica visiva, si trasforma nella messinscena sibillina di
Bottle of Milk: un contenitore di vetro vuoto viene unito, o meglio diviso, dal
suo presunto contenuto free-standing da un isolato complemento di
specificazione. Il tentativo di raffigurare il linguaggio, creando una
relazione di corrispondenza isomorfica tra enunciato e opera d'arte, nel
visualizzare indipendentemente ogni elemento che va a costituire l'oggetto nel
suo complesso, ne complica la percezione unitaria, nonchè la comprensione.
11 linguaggio, visto come una
convenzione e non come l'unico modo corretto e valido di descrivere il mondo,
venendo ri-convertito dall'artista in immagini crea una sorta di cortocircuito,
di andata e ritorno che ne evidenzia le difformità e la distorsione risultante
rispetto all'oggetto di partenza.
Ecco che, al pari dei casi
precedenti, anche qui il cambiamento - inteso come conseguenza del continuo
cambio di prospettiva e di punto di vista - indica e significa qualcos'altro,
ovvero che non esiste nulla di così definito, certo e indubitabile. Non esiste
il vero o il falso, con distinzioni e contrapposizioni assolute: la verità non
solo è sfumata, ma spesso è irraggiungibile e contorta.
Così per assurdo, anche in
assenza di alterazioni fisiche di qualsiasi tipo, tutto risulta in costante
mutamento comunque: in altri termini l'universo si conferma come luogo di
eterna trasformazione, anche solo semplicemente considerando il fatto che esso
muta ogni qualvolta cambia il punto di vista.
Costantemente in balia di
mutazioni, causate da processi chimici e fisici che agiscono ovunque e ci
attraversano, o da travisamenti
percettivi, che inevitabilmente deformano la realtà oggettiva, l'uomo
contemporaneo dovrebbe reagire, cercando egli stesso di farsi agente di un
cambiamento positivo, che se chiaramente non universale quantomeno può essere
interiore.
Ogni opera, prendendo a pretesto
le metamorfosi più varie, invita così a riflettere, evidenziando le
distorsioni, le problematiche e le criticità proprie della società di oggi,
perchè il primopasso verso un possibile cambiamento è sicuramente la presa di
coscienza e la consapevolezza della loro esistenza."
Un nostro giudizio? La mostra è veramente interessante sotto tutti i punti di vista, location inclusa. Meriterebbe la visita anche solo per poter ammirare la splendida chiesa di S.Vittore aperta, come raramente accade. Assolutamente lodevole il cartello all'interno che consente non sono la libera ripresa di immagini, ma anche la possibilità di condividerle sui social network sull'onda del hashtag #dolcepiano di cui avevamo parlato a questo link. Un viaggio meraviglioso, tra opere vicine alla realtà quotidiana ed interpretazioni degli stili di vita verso i quali difficilmente soffermiamo i nostri pensieri.
Immagini e commento: Samuele Giatti
Testo: *Fascicolo all'interno della mostra senza autore espresso*